Risarcimento dell’aspettativa di vita al malato terminale

Danno da errata e/o omessa diagnosi di una malattia terminale

Il Giudice di Legittimità è tornato nuovamente ad esaminare conseguenze di una errata e/o omessa diagnosi sotto il profilo risarcitorio della perdita della "possibilità di vivere per un periodo più lungo".

La Suprema Corte di Cassazione ha affermato come la perdita di un seppur limitato periodo di sopravvivenza, in ragione della condotta colposa tenuta dai sanitari, sia un danno-evento sicuramente risarcibile.

Al riguardo, i Giudici precisano come una tale 'perdita' non vada qualificata in termini di chance, trattandosi, invece, di un bene che il soggetto certamente già aveva nella propria sfera giuridica:

  • "...è lo stesso uso dell'espressione chance, con riferimento alla perdita della possibilità di sopravvivenza per un periodo imitato, a non apparire pertinente perchè il danno non attiene al mancato conseguimento di qualcosa che il soggetto non ha mai avuto e dunque ad una possibilità protesa verso il futuro, cui allude la chance, ma alla perdita di qualcosa che il soggetto già aveva e di cui avrebbe certamente fruito ove non fosse intervenuta l'imperizia del sanitario..."
  • "...qualora l'evento di danno sia costituito non da una possibilità - sinonimo di incertezza del risultato sperato - ma dal (mancato) risultato stesso (nel caso di specie, la perdita anticipata della vita), non è lecito discorrere di chance perduta, bensì di altro e diverso evento di danno, senza che l'equivoco lessicale costituito, in tal caso, dalla sua ricostruzione in termini di "possibilità" possa indurre a conclusioni diverse..." (Cass. Civ., Sez. III, Sent. n. 5641 del 09 Marzo 2018)
Orbene, sulla base di tale criterio la pronuncia in esame ha statuito come: 
  • "...la condotta colpevole ha cagionato non la morte del paziente (che si sarebbe comunque verificata) bensì una significativa riduzione della durata della sua vita ed una peggiore qualità della stessa per tutta la sua minor durata. In tal caso il sanitario sarà chiamato a rispondere dell'evento di danno costituito dalla minor durata della vita e dalla sua peggior qualità, senza che tale danno integri una fattispecie di perdita di chance - senza, cioè, che l'equivoco lessicale costituito dal sintagma "possibilità di un vita più lunga e di qualità migliore" incida sulla qualificazione dell'evento, caratterizzato non dalla "possibilità di un risultato migliore", bensì dalla certezza (o rilevante probabilità) di aver vissuto meno a lungo, patendo maggiori sofferenze fisiche e spirituali...".
I Giudici della Suprema Corte hanno quindi ritenuto come l'omessa diagnosi di un processo morboso terminale determini l'esistenza di un danno risarcibile alla persona ove risulti che, per effetto di tale omissione, sia andata perduta dal paziente la possibilità di sopravvivenza anche solo per alcune settimane od alcuni mesi, o comunque per un periodo limitato rispetto a quello effettivamente vissuto.

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