Il principio di immutabilità della contestazione disciplinare
Cassazione Civile, Sez. Lav., Sent. n° 13023 del 15 Maggio 2019
Ancor prima di prendere in esame la Sentenza di Legittimità in epigrafe, occorre richiamare la disciplina relativa al principio dell’immutabilità della contestazione dell’addebito disciplinare.
Il suddetto principio è previsto dall'Art. 7 Stat. Lav., è prevede che il datore di lavoro non possa licenziare un dipendente (ovvero adottare nei suoi confronti altre sanzioni), per motivi diversi da quelli allo stesso contestati.
Tale principio, però, non impedisce che il datore di lavoro possa prendere in considerazione, nell'esercizio del potere disciplinare, fatti non precedentmente contestati e collocantisi anche ad apprezzabile distanza di tempo.
I fatti non contestati possono, infatti, assumere rilievo quali circostanze confermative della significatività di altri addebiti posti a base della sanzione disciplinare, al fine della valutazione della complessiva gravità, sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio dell’imprenditore.
Inoltre, con espresso riferimento al licenziamento disciplinare, si precisa come l'immodificabilità del motivo di licenziamento sia previsto a garanzia del lavoratore, il quale deve avere la piena possibilità di contestare il recesso.
Al riguardo, l’immutabilità della contestazione preclude al datore di lavoro di far valere, a sostegno delle sue determinazioni disciplinari (nella fattispecie qui esaminata, il licenziamento), circostanze nuove rispetto a quelle contestate, tali da implicare una diversa valutazione dell’infrazione disciplinare anche diversamente tipizzata dal codice disciplinare approntato dalla contrattazione collettiva.
Si ribadisce, ancora una volta, come lo scopo sia sempre quello di garantire al lavoratore incolpato l’effettivo diritto di difesa, diritto garantito proprio dalla normativa di cui all’Art. 7, Stat. Lav., norma che regola il procedimento disciplinare.
Sul punto, si ricordi, inoltre, che il principio dell’immutabilità della contestazione preventiva dell’addebito e della causa del licenziamento comporta, l’irrilevanza dei fatti non contestati, quali elementi costitutivi della mancanza addebitata a motivazione del licenziamento, ma non esclude che tali fatti possano essere presi in considerazione per valutare la gravità della mancanza e con essa la proporzionalità della sanzione adottata.
Ciò doverosamente precisato, il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte riguarda la vicenda di un dipendente, il quale era stato destinatario di un licenziamento per giusta causa irrogato a seguito di due contestazioni disciplinari.
In particolare, il datore aveva contestato al lavoratore :
- di aver svolto durante l’orario di lavoro, in concorso con altri dipendenti, attività per conto proprio o di terzi su clienti dell’azienda datrice
- di aver tratto profitto da tali attività e/o aver con tali attività danneggiato l'azienda (elementi che legittimano la giusta causa di licenziamento)
Tali comportamenti, infatti, sono sanzionati con il licenziamento nelle disposizioni contrattuali collettive applicabili al rapporto di lavoro.
La sussistenza della giusta causa di licenziamento, ciondimeno, veniva sottoposta al vaglio dell'Autorità Giudiziaria a seguito di Ricorso del dipendente.
I Giudici di prime Cure, sia in fase di sommaria e sia in fase di cognizione piena, confermavano la legittimità del licenziamento.
Al riguardo, il Tribunale riconosceneva che, pur in difetto di prova del profitto dell'ex dipendente, il recesso datoriale era legittimo e assitito da giusta causa, in quanto il comportamento del dipendente era, comunque, stato tanto negligente da ledere il rapporto fiduciario.
I Giudici di Seconde Cure, invece, riformavano parzialmente la Sentenza di Primo grado, e pur ritenendo sussistenti gli estremi del giustificato motivo soggettivo, negavano la ricorrenza degli estremi della giusta causa.
Per effetto di tale qualifcazione, la Corte d'Appello, pur considerando legittimo il recesso datoriale, aveva riconosciuto all’ex dipendente il diritto a percepire l'indennità di mancato preavviso.
In via incidentale, si rileva come la derubricazione del licenziamento per giusta causa sia una facoltà del Giudice del lavoro, facoltà che può essere esercitata dallo stesso anche d'ufficio.
Ciò doverosamente precisato, la Corte d’Appello confermava la legittimità del licenziamento in ragione del notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del dipendente (cd. giustificato motivo soggettivo).
Sul punto, ai sensi dell’Art. 1 L. n° 604 del 1966, l'estinzione del rapporto di lavoro deve essere differita al termine di un periodo di preavviso, salvo che non ricorrano ipotesi di giusta causa di cui all’Art. 2119 Cod. Civ..
Come confermato anche in sede di Legittimità, nel caso di specie la giusta causa del recesso datoriale, nella fattispecie contestata al lavoratore, risiedeva, oltreché nell’esecuzione dell'attività per conto proprio, nella sussistenza de un profitto per il lavoratore e/o di un danno per l'azienda (elementi previsti dalla disciplina collettiva quali giusta causa di licenziamento).
La prova di tali elementi, però, non era stata fornita in giudizio e, pertanto, il recesso datoriale, pur legittimo, non era assistito dalla cd. giusta causa che consente il licenziamento senza preavviso (definito anche ad nutum o in tronco).
Come anticipato, infine, oltre agli interessanti profili legati alla legittimità, o meno, della risoluzione del rapporto di lavoro, I Giudici di Legittimità hanno avuto modo di riaffermre il principio secondo cui il datore di lavoro, pur nell’ambito della cd. immutabilità della contestazione disciplinare, può ricondurre la valutazione di un fatto contestato ad una diversa ipotesi disciplinare, senza che da tale valutazione consegua una modifica della contestazione.
- “….in tema di licenziamento disciplinare, il fatto contestato ben può essere ricondotto ad una diversa ipotesi disciplinare, dato che in tal caso non si verifica una modifica della contestazione, ma solo un diverso apprezzamento dello stesso fatto….”
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